martedì 11 marzo 2014

_03: Comunicazione Marsupiale; Informazione e architettura

Abbiamo visto come nell'evoluzione del processo economico il valore dell'informazione abbia assunto una posizione sempre più predominante, distaccandosi dalla tautologia legata alla logica industriale secondo la quale un prodotto esiste in quanto funziona. Viene, infatti, introdotta  l'informatica quale plus-valore trainante, per cui un prodotto ha valore in quanto comunica.

Anche l'architettura ha avuto un processo di trasformazione analogo.
In origine l'architettura era principalmente metafora di potere religioso o/e politico e la sua funzione era strettamente legata all'informazione in quanto rappresentazione, all'assunto secondo cui esisto in quanto informo rappresentativamente.
Successivamente, un'epoca nuova soppianta la precedente ed è quella del machinisme, che vede l'architettura come macchina per abitare e che sfrutta la logica del funzionalismo industriale per estraniarla da qualsiasi processo di soggettivazione o simbolismo.  "Quando una cosa non risponde ad un bisogno - ci dice Le Corbusier in "Verse Un Architecture"- non è bella, ma soddisfa semplicemente una parte del nostro spirito, la prima parte". Per questo motivo tutto il Movimento Moderno punterà al perseguimento di quella stardadizzazione tipica del mondo industriale, affermando a gran voce che sia questa la sola soluzione per affrontare il problema della perfezione. Realizzare uno standard equivale a riconoscere in modo unanime una tipologia conforme a determinate funzioni, rispettando il principio del massimo rendimento con l'impiego minimo di mezzi, mano d'opera e materiali (esisto in quanto funziono).

Ma ben presto anche l'architettura verrà travolta dal contributo dell'informazione, così che un edificio non verrà giudicato più solamente dalla sua funziona, ma anche in base a quanto e cosa esso ci comunica (esiste in quanto informa). Il cambio di paradigma, da uno di tipo funzionalista ad uno di tipo simbolico ed espressivo, ha nel neoespressionismo di Jørn Utzon uno dei suoi più audaci rappresentanti. L'architetto nel 1957 vince il concorso internazionale per l'Opera House di Sidney, organismo che si libera sullo scenario della città con le sue vele cementizie, che sembrano quasi addentare l'aria della baia. Nell'ultima edizione di Space, Time and Architecture, Giedion lo scelse a prototipo di una terza generazione di architetti che presenterebbe la caratteristica di un maggior interesse per la storia e per le componenti scultoree ed emotive del linguaggio. Il neoespressionismo di Utzon nei primi vagiti conserva una significativa eco dell'eredità lasciata da un grande Maestro, Erich Mendelsohn, che è lampante riconoscere in alcuni schizzi, specie in quello per la scuola secondaria di Hellebaek. Qui il piglio delle architetture telluriche e magmatiche mendelsohniane è molto marcato, seppur mutuato dall'esperienza che l'architetto danese ha maturato nel lavorare con Alvar Aalto.

Erich Mendelsohn - Einsteinturm; schizzo per la scuola secondaria di Hellebaek - Utzon


Come scrisse Bruno Zevi in Storia dell'Architettura Moderna, "L'accentuazione del fattore plastico, maturata a contatto di Henri Laurens, ha costituito il pretesto delle aspre critiche rivolte a Utzon per il tour de force delle enormi vele cementizie svettanti fino all'altezza di sessanta metri e prive di qualsiasi rapporto organico con le funzioni interne. Certo, esse agglutinano il promontorio e l'insenatura del porto, emanano un messaggio squillante e popolare".
L'architettura di Utzon partecipa alla comunicazione, in quanto nella Opera House gli abitanti di Sidney, così come i visitatori, riconoscono un simbolo, non solo della città ma anche dell'intero continente. Un'altra rapida riflessione che mi è venuta in mente osservando le foto dell'Opera House da varie angolazioni è che sembra quasi entrare in contrapposizione linguistica con sé stessa: non possiamo fare a meno di notare la compresenza del grande basamento gradonato, quasi il crepidoma di un tempio romano, ben ancorato al terreno, e delle vele, che invece nell'innalzarsi verso il cielo, sembrano dover spiccare il volo da un momento all'altro. Di fronte ad esse si dovrebbe provare la stessa sensazione di meraviglia che si innesca di fronte alle vertiginose altezze delle cattedrali gotiche.



Quarant'anni dopo, i decostruttivisti, guidati da Frank Gehry, ripercorreranno la via intrapresa da Utzon ed esaspereranno ulteriormente gli aspetti comunicativi ed informativi all'interno delle loro architetture, traducendoli in linguaggi più astratti e decisamente meno immediati delle "ali di gabbiano" della Opera House.

"Frank Gehry ha trasformato l'architettura moderna. L'ha liberata dai confini della scatola e dalle costrizioni delle comuni pratiche del costruire. Ha dimostrato che le soluzioni tecniche che l'architettura offre, non servono altro che a realizzare strumenti culturali che ci liberano verso una nuova comprensione del nostro mondo. Sgusciante, aperta come costruzioni spoglie e tanto sperimentale quanto le attività artistiche ches sono state la sua ispirazione, l'architettura di Gehry rappresenta il vero modello moderno per un'architettura oltre il costruire".
(Aaron Betsky su Frank Gehry alla Biennale di Architettura di Venezia del 2008)

Nella sua opera più celebre, il Museo Guggenheim di Bilbao, Gehry genera all'interno di un'intersezione urbana strade, percorsi, luoghi di raccolta, con un'articolazione di corpi apparentemente "casuale" ed irrazionale. La percezione di disconnessione e deformazione sarà segno distintivo in tutte le architettura di Gehry, in quanto durante il processo compositivo egli agisce più come scultore/pittore, che come puro progettista. Scava, scolpisce, intreccia, fonde o decompone quasi stesse forgiando l'argilla a mani nude. Nelle sue architetture il fattore temporale gioca un ruolo chiave, in quanto ci apre alla possibilità di leggere l'edificio in maniera dinamica, come fosse in perenne movimento e continua metamorfosi nel tempo. Le architetture di Gehry non sono mai banalmente agganciate al suolo, piuttosto ci si aspetta che da un momento all'altro cambino di posizione, inizino a vivere di vita propria e ad camminarsi lungo le strade, per poi fermarsi ed inserirsi in un nuovo lotto per attribuirgli un nuovo significato.
E' un processo che ricorda molto il punto di vista scompositivo/ricompositivo dei pittori cubisti, che per primi nel mondo pittorico cercarono di adoperare il tempo quale quarta dimensione di rappresentazione degli oggetti. Simili intenti venivano portati avanti anche dai pittori futuristi, ovviamente con molta più violenza e passione; in artisti come Umberto Boccioni o Giacomo Balla percepiamo in maniera chiara il senso del movimento, la velocità delle azioni e l'inesorabile fluire del tempo.

1. Georges Braque, "Violino e brocca"; 2. Umberto Boccioni, "Elasticità"; 3.
Giacomo Balla, "Velocità in motocicletta"; 4. Frank Gehry, Museo Guggenheim

Un linguaggio fortemente comunicativo, simbolico ed informativo viene sviscerato in maniera analoga ma al tempo stesso diversa da Daniel Libeskind, che nel Museo Ebraico di Berlino utilizza la sua architettura come metafora. Si antepone alle plasticità di Gehry per scontrarsi con forme più nette e decise, dove i tagli inferti alla cortina delle pareti sono delle vere e proprie ferite sanguinanti, sinonimo del ricordo di un passato lacerato ed agghiacciante.
E' l'architettura che parla, che urla e che denuncia l'angoscia soffocante ed il dolore del popolo ebraico durante il regime di persecuzione nazista e che, attraverso uno studiato "percorso sensoriale", fa rivivere in maniera allegorica le sensazioni di paura e pesantezza anche al visitatore del museo.


Bibliografia:
"La via dei simboli" - Antonino Saggio
"Verso una Architettura" - Le Corbusier
"Rassegna di Architettura e Urbanistica - Linguaggi dell'Architettura Contemporanea" 127/128/129 - Edizioni Kappa
"Storia dell'Architettura Moderna" - Bruno Zevi

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